La struttura della mente

Inconscio sociale

cervelloCome psicoterapeuti, una parte fondamentale della nostra vita intellettuale e professionale consiste nel tentativo di dare ordine ai dati che ricaviamo dai nostri pazienti. Lo facciamo per lavorare meglio nelle situazioni cliniche, ma anche per un bisogno che ci è connaturato. La mia riflessione sul lavoro che svolgo ogni giorno non si è certo conclusa con gli studi universitari, che sono stati vaghi e confusi; né tantomeno con i convegni ai quali ho occasionalmente partecipato (e dei quali non ho alcuna nostalgia). È proseguita piuttosto nelle tre analisi personali (implicitamente didattiche) che ho effettuato con quelli che sono stati i miei tre maestri; poi col confronto con l’intelligenza che i pazienti mettevano in gioco ad ogni seduta nel tentativo di stare meglio; infine con gli studi in cui mi sono avventurato io stesso, in prima persona, con passione, in ogni campo dello scibile che mi sembrasse adeguato a sciogliere i nodi dei miei dubbi. L’autoformazione è stata per me fondamentale, quanto la formazione diretta, a contatto coi maestri.

Per dare ordine ai dati che mi provenivano dall’attività clinica e dagli studi effettuati in campo biologico, storico e antropologico, oltre che psicologico, ho dovuto postulare l’esistenza di due diversi inconsci. Il primo inconscio che incontriamo nell’attività di psicoterapia coi nostri pazienti è costituito da regole e ideali di cui avvertiamo il potenziale patogeno, e da immagini che ci appaiono oppressive e minacciose. Intuiamo che i pazienti hanno ricevuto dalle interazioni sociali, a partire da quelle primarie, impressioni intense, drammatiche, spesso di forte impatto traumatico, alle quali hanno opposto costrutti emotivi e valoriali personali, in un conflitto disperato. Ma gran parte di questi eventi è trattenuta in una dimensione della mente cui essi non hanno accesso. Di questa terribile sofferenza ricavata dai rapporti interpersonali, non solo quelli primari, ma anche quelli sociali in corso, di solito non sanno nulla. Se no, non starebbero così male. Questo inconscio, strettamente implicato nella sofferenza psicopatologica, l’ho chiamato inconscio sociale.

Il nostro Io vive immerso in regole – prescrizioni e proscrizioni – di cui non ha coscienza, ma che pure segue ogni giorno, sin nell’intimo dei propri pensieri. Questo sistema di regole deriva da atti e comportamenti educativi e sociali subiti, spesso di natura traumatica, e in altri atti e comportamenti, emozioni e costrutti mentali, posti in essere a scopo difensivo e stratificati in una parte profonda e poco accessibile della mente. Se si è avuto un padre o una madre o un fratello narcisisti, questa esperienza è memorizzata perlopiù nell’inconscio; se si vive in contesti sociali violenti e di sfruttamento (come accade ormai sempre più spesso), questa esperienza è relegata nell’inconscio. Da quelle profondità poco accessibili, l’inconscio sociale regola i nostri comportamenti utilizzando emozioni viscerali di terrore, paura, disagio, vergona e colpa, coi ricordi annessi; ma anche con le emozioni opposte di sollievo, sintonia, armonia. Quando viviamo in accordo, in armonia, con le regole interiorizzate siamo sereni, quando invece qualcosa di noi, conscio o inconscio, resiste a queste regole e gli si oppone, entriamo in un’area psichica pericolosa, come un territorio insidiato da ombre inquietanti, sotto un cielo minacciato da fulmini. In quella situazione, una parte della nostra mente, postasi come istanza morale, ci minaccia con emozioni negative di condanna, i cui effetti possono essere terrificanti. Se vuoi leggere qualcosa su queste emozioni va qui e qui.    

Super-io e Io antitetico

Freud FioriDeducendolo da Sigmund Freud, usiamo il termine Super-io per indicare questa funzione della mente che amministra i sentimenti e i comportamenti degli esseri umani. Freud adopera per la prima volta il termine Super-io nel 1922 nell’opera L’Io e l’Es, dando corpo alle sue precedenti intuizioni su una “coscienza morale” che sovraintende, mediante giudizi e sanzioni, ai vissuti e ai comportamenti individuali.

Senza entrare nel merito di una discussione del ruolo che il Super-io svolge nella teoria freudiana, dirò solo che, dal mio punto di vista, il Super-io coincide con la parte appresa della coscienza morale, una parte perlopiù inconscia, che accoglie le regole sociali e i valori impliciti dell’ambiente in cui si è vissuti. Il Super-io è dunque una figura cardine dell’inconscio sociale.

Ma c’è un’altra figura, anch’essa parte dell’inconscio sociale, con la quale dobbiamo fare i conti. È quella parte che si oppone al Super-io. Nella teoria freudiana, intrisa di patriarcato implicito, il Super-io è la parte saggia, che non può che punire la parte opposta: gli istinti animali primari, raccolti nella figura dell’Es. Secondo Freud, l’Es è quanto resta in noi degli animali selvaggi che siamo stati: impulsi sessuali incestuosi e omicidi sono, secondo lui, l’essenza dell’Es. A proposito di Freud, parlo di patriarcato implicito perché questa concezione vede la mente divisa fra un’autorità saggia (semmai talvolta eccessivamente severa) che si contrappone a un’animalità primitiva, non aggiogata, quindi non ben educata alla civiltà. Nella sua visione della mente, L’Es è il bambino che siamo stati, saturo di risentimento e di cattivi istinti, ma è anche la donna che ci ha accuditi, anch’essa sensuale e ostile all’ordine paterno. Come in una predica religiosa, prima i freudiani puri, poi i kleiniani, infine i neofreudiani lacaniani ci hanno dato il tormento per decenni per insegnarci che il padre deve portare la Legge (con la elle maiuscola) alla coppia madre-figlio, resistente alla civiltà (cioè al potere paterno). Questa posizione ideologica, fondata sull’idea che natura, bambini e donne siano entità inferiori rispetto al maschio adulto civilizzato dominate, è stata discussa dalla storia, oltre che da molti validi intellettuali, compresi non pochi analisti. Oggi ci appare piuttosto aggressiva, e francamente anche un po’ ridicola.

Nondimeno l’intuizione freudiana di un conflitto intrapsichico fra l’ordine morale sociale e la natura umana resta geniale. Personalmente, ho sostituito alla nozione di Es quella di Io antitetico. La nozione di Io antitetico è assimilabile a quella junghiana di Ombra, ma con una definizione a mio avviso più puntuale e dettagliata. Per citarmi, mi limito a questa breve descrizione: «In sintesi, la mia concezione dell’Io antitetico è questa: laddove noi pensiamo in modo apparentemente unitario, dobbiamo sempre presupporre che esista all’interno della nostra psiche un altro Io che pensa e contrappunta il nostro pensiero in modo opposto e contraddittorio. Il concetto di Io antitetico, così espresso, è uno strumento utile per afferrare tutti quei fenomeni di intima contraddizione di cui è piena tanto la nostra giornata, quanto la nosografia psicopatologica». Per saperne di più puoi leggere qui e qui.

L’Altro

DelfinoMa per capire la formazione dei sintomi e l’effetto di organizzazione intrapsichica indotto dalla psicopatologia, ossia l’ordine misterioso delle sindromi psicopatologiche, avevo bisogno di un altro concetto. Questo concetto è stato l’inconscio biologico, che coincide con l’istanza psichica di regolazione che ho chiamato Altro (con la “A” maiuscola, termine che ho ricavato da George Mead e Jaques Lacan).

Per poter funzionare, il Super-io si “appoggia” sulle funzioni primarie dell’omeostasi e della coordinazione sociale presenti già a livello animale. Faccio un esempio: la funzione della vista è primaria e si manifesta sin dalla nascita; ma solo nel corso dei mesi il bambino impara a vedere e a classificare gli oggetti del mondo: la mammà e il papà, le donne e gli uomini, gli adulti e i bambini, il cibo e il non-cibo, il buono e il disgustoso, il piacevole e il fastidioso, l’approvato e il disapprovato ecc. Mentre la visione è naturale, la classificazione è appresa. Così funziona anche il Super-io: le istanze emotive che coordinano lo stato di omeostasi e le azioni sociali umane sono innate e naturali, ma i valori morali sociali sono appunto ambientali e appresi. Per esempio, il bambino prova un’angoscia naturale se la mamma d’un tratto, senza motivo, va via; ma solo l’apprendimento gli insegna se va via quando arriva il papà o se va via quando è arrabbiata del comportamento del bambino. Il Super-io è dunque una funzione mentale che partecipa sia dell’inconscio biologico che dell’inconscio sociale. La reazione innata attiene all’inconscio biologico; la reazione appresa attiene all’inconscio sociale.    

Poiché nella coordinazione emotiva delle azioni sociali l’uomo è guidato da impulsi sia naturali sia appresi, cioè culturali, ho distinto da un lato l’inconscio sociale e il Super-io (appreso) dall’altro l’inconscio biologico e l’Altro che, nella mia teoria, rappresenta il sistema delle retroazioni naturali che amministrano la vita psicobiologica umana. Ho dunque chiamato Altro la soggettività fisiologica e sociale implicita, preliminare, che accompagna e coordina la vita dell’essere umano dalla nascita alla morte, regolandone il battito cardiaco, il ritmo circadiano, l’orientamento verso il simile, il vincolo empatico e compassionevole, la ricerca continua di conoscenze e di valori culturali, il sentimento di appartenenza a una civiltà, a un mondo, alla natura.

Mentre l’Altro è la sede dell’inconscio psicobiologico, che è naturale e innato; il Super-io è espressione dell’inconscio sociale, che è invece acquisito. Mentre l’Altro riproduce l’animale umano, il Super-io riproduce il “cittadino”, ossia l’individuo sociale, che obbedisce ai valori di una specifica società. Nelle società più rispettose dei vincoli naturali, l’uomo ha rapporto soprattutto con l’Altro, ossia con il proprio organismo biologico, con gli affetti personali, con il macrosistema della natura, con il proprio gruppo e con i valori simbolici di cui il gruppo fa professione. Questi vincoli organici e sistemici operano continue retroazioni correttive sulle traiettorie individuali, riportandole a una coordinazione funzionale con i livelli più alti: la mente individuale, sempre a rischio di divergere, viene ricondotta nei limiti del corpo da cui sorge e del gruppo cui appartiene; a loro volta, il corpo e il gruppo vengono indotti a integrarsi il più possibile nell’ambiente naturale. Per contro, laddove le società e gli individui si alienano e si allontanano dai vincoli naturali, l’Altro è colonizzato dall’inconscio sociale e assume una funzione punitiva, divenendo ciò che chiamiamo Super-io.

Vediamo in che senso.

La mente come fenomeno evolutivo

albero uominiL’individuo come soggetto distinto dagli altri individui e almeno in parte indipendente dal suo stesso gruppo sociale è un’evoluzione recente della storia umana. Per centinaia di migliaia di anni gli individui sono stati abbastanza simili fra loro e divergevano in funzione di ruoli codificati dal sistema sociale (sacerdoti, capi, cacciatori, esploratori ecc.). Fino a tutto il paleolitico, cioè fino a circa 10.000 anni fa, le società erano piccole e solidali al proprio interno, con scontri occasionali con altre società umane. In queste società l’individualità era implicita e poco rilevante. Col neolitico, a partire da 7-8.000 anni fa, le società sono diventate guerriere e organizzate in classi sociali contrapposte; all’interno di queste società l’individualità era connotata dalla sofferenza e quindi schiacciata da poteri materiali oggettivi. Mentre i grandi capi guerrieri del neolitico si limitavano a elevare all’ennesima potenza la cultura della propria società, ne erano cioè la massima espressione, da non più di 3.000 anni è nato l’individuo dotato di mente autonoma e una precisa volontà di libertà: pensiamo a Lao Tzu, Socrate, Gesù, esempi paradigmatici la cui vicenda storica data fra i 2.500 e i 2.000 anni fa, individui in rotta di collisione col proprio mondo. Dobbiamo immaginare che da quell’epoca in poi, ogni comunità abbia prodotto personalità di questo tipo, se non di questa grandezza. Nel libro Il dramma delle persone sensibili (2021) ho spiegato il motivo della loro nascita.

Infine, in epoca borghese, l’individuo autonomo è stato mitizzato: il carattere individuale si è posto come più importante del ruolo sociale: il carattere di Dante e Goethe, di Elisabetta I Tudor e Jeanne d’Arc, di Napoleone e Winston Churchill, della regina Vittoria e Evita Peron, di Pablo Picasso e Elvis Presley, insomma il carattere mitizzato dell’uomo libero, si è proposto come più determinante del ruolo sociale svolto (o almeno così è apparso nella versione corrente che se ne dava). Si è trattato di un’evoluzione che ha certamente velocizzato le forme di adattamento al mondo (l’individuo autonomo dispone di creatività ed è quindi in grado di inventare nuovi strumenti e nuovi valori); ma ha anche prodotto divergenze e conflitti non sempre mediabili.

Più l’uomo si è individualizzato, più ha avuto bisogno di risorse. Pian piano, l’ambiente naturale si è antropizzato, l’ambiente sociale è diventato autoreferenziale (l’uomo non ha più avuto né una natura da rispettare né una trascendenza cui rispondere), e la mente individuale si è sempre più affrancata dalla subordinazione al gruppo. L’individuo borghese è giunto a definirsi indipendente e padrone di se stesso. Tutto ciò con risultati moralmente scadenti e sempre più pericolosi. Infatti, non avendo più una natura da sfruttare (la terra è stata interamente occupata e depauperata, il mare si è isterilito, lo spazio interplanetario è alieno e privo di vita), ha rivolto le sue esigenza di sfruttamento sempre più sul proprio simile, con l’effetto della traumatica lotta di tutti contro di tutti a cui assistiamo oggi.

Di fatto, lo sviluppo di gradi crescenti di libertà mentale, assieme ai benefici delle tecniche e delle arti, ha aumentato lo sfruttamento del territorio e l’impoverimento della natura, lo sradicamento dei popoli, le guerre, la gerarchizzazione sociale e, infine, l’individualismo competitivo e predatorio.

Di tutto questo, l’inconscio sociale è il testimone insonne, testimone cui la mistificata e ipocrita coscienza contemporanea preferisce non dare la parola. Per parte sua, l’inconscio biologico, con la sua funzione emergente, l’Altro, costituisce il metronomo biologico, inteso a correggere le dissonanze del sistema. Si tratta però di un inconscio automatico, privo sia di coscienza che di empatia, quindi indifferente alla nostra salvezza.

Il gioco della terapia e della salvezza è quindi interamente nelle mani della coscienza contemporanea, depauperata di profondità e di cultura.

God save the queen, verrebbe da dire: the queen consciousness.     

Bibliografia dell’autore

Per approfondire i concetti descritti, consiglio in particolare questi miei libri:

Ghezzani N., La specie malata, FrancoAngeli, Milano 2020.

Ghezzani N., La mente distopica, FrancoAngeli, Milano 2021.

Ghezzani N., Il dramma delle persone sensibili, FrancoAngeli, Milano 2022.

Ghezzani N., La lingua perduta dell’amore, FrancoAngeli, Milano 2023.