L’abuso narcisistico di lungo termine. I figli dei genitori narcisisti

Premessa

sad girlDi solito si parla di narcisismo e di abuso narcisistico a proposito di relazioni sentimentali occasionali e di breve durata. È raro – almeno nella letteratura divulgativa corrente – che si racconti l’esperienza non meno drammatica dei figli di genitori narcisisti. Dunque, si parla poco delle conseguenze di una vita intera vissuta accanto a una persona affetta da un grave disturbo mentale, sia esso narcisistico o borderline. Si trascura di porre attenzione sul fatto che la prima vittima di abusi è sempre un bambino. 

Spesso il figlio non è in grado di fare un’analisi dettagliata della personalità del genitore, glielo impediscono da un lato la sua stessa piccolezza, quindi insufficienti capacità analitiche; dall’altro fattori psicodinamici: sentimenti di colpa e di vergogna che lo inibiscono e la fanno sentire in torto. Il genitore è l’autorità morale interiorizzata, quindi nella maggioranza dei casi esaminare la sua personalità e analizzarla oggettivamente significa opporsi a quell’autorità, quindi provare colpa. Altre volte, è la vergogna a rendere impossibile l’analisi oggettiva del disturbo del genitore. Prenderne atto significa esporre il genitore e, in fondo, l’intera famiglia (sempre e comunque amati) al giudizio personale e sociale.

La colpa e la vergogna soggettivi – nonché i sentimenti di colpa e vergogna condivisi, che squalificano l’intera famiglia di fronte alla società – rendono oltremodo difficile valutare le caratteristiche psicologiche del genitore e le sue responsabilità oggettive. D’altra parte, rimuovere i ricordi traumatici e le umiliazioni subite significa porre in uno stato di dissociazione nuclei mnestici, schegge di memoria, che possono dar luogo, nel tempo, a blocchi, inibizioni e gravi patologie. L’accumulo di traumi da abuso narcisistico di lunga durata crea alterazioni della personalità di gran lunga più gravi dei casi nei quali il trauma duri uno o due anni o appena qualche mese. È difficile valutare il numero degli “infanticidi psichici” che avvengono in relazione a queste condizioni estreme eppure diffuse.    

Provo a descrivere ora alcuni dei comportamenti più tipici del genitore narcisista.

Il comando

anton-corbijn-08Il genitore incapace di provare sentimenti di amore nei confronti del figlio, e quindi incapace di immergersi nella sua realtà umana aprendosi a lui, può essere un genitore formale, indifferente e quindi di fatto abbandonico. Il figlio viene fatto oggetto di una semplice e radicale negazione: in apparenza il genitore lo vede, lo ascolta, gli parla; ma nella sostanza ogni dato relativo alla sua realtà vivente viene sminuito. Molte famiglie sono caratterizzate da distanza e trascuratezza, spesso dovute a povertà culturale e a codici mentali arcaici.

Fino a pochi decenni fa, questo modo di procedere era anzi maggioritario. Un numero infinito di uomini e donne nati fino agli anni 50-60 del secolo scorso ricorda o ha ricordato, nelle sue testimonianze autobiografiche e cliniche, di aver subito trattamenti di questo genere. In questo caso il genitore non fa un danno irreversibile, primo perché si tratta di un comportamento consuetudinario; secondo perché in esso vi è durezza ma non necessariamente sadismo. Infatti, se il figlio è fortunato può trovare figure sostitutive che gli facciano da genitore, oppure, se è molto ingegnoso, può “fare da sé”.

Altre volte però, più il figlio cresce più il genitore insensibile si rivela autoritario ed esprime il suo autoritarismo in comandi continui ed estenuanti. L’insensibilità si è qui associata alla “morale autoritaria”, che detta il diritto di “estorcere valore” dalla vita del figlio.

Le passate generazioni hanno espresso frequentemente questa genitorialità di comando, che in alcune aree culturali era la norma. Il figlio maschio doveva obbedire e lavorare presto; la femmina era ingaggiata da subito nelle faccende domestiche e altri lavori associati alla casa e alla famiglia, nonché nell’obbligo di tenere un’immagine sociale irreprensibile. In queste famiglie, anche cresciuti, i figli restavano nella disponibilità del genitore. Il prezzo pagato in questi casi era una sorta di orfanezza, a causa della quale i bambini e poi gli adolescenti crescevano senza alcuna speranza di essere riconosciuti, amati per se stessi e in grado di sviluppare la propria reale personalità.

Essi componevano una vasta massa di “umanità ombra”, di identità non realizzate e non individuate perlopiù incapaci nonché di godimento della vita anche del più elementare pensiero critico. Questi individui senza individuazione restavano disponibili, come massa di manovra, per il lavoro servile, l’umile obbedienza gerarchica e le sanguinose guerre di posizione.

La seduzione

arbus-due_amici_a_casa_nyc_1965-grandeMa da quanto la morale autoritaria è stata messa in crisi dall’avvento della società liberale e la coscienza dei “diritti” del bambino, il genitore autoritario ha subito una crisi e una mutazione culturale: in preda all’angoscia di essere scoperto autoritario, egli è diventato seduttivo.

Nel genitore seduttivo elementi di frustrazione personale (traumi precoci e insuccessi sociali) si associano a una strategia di conquista del figlio mediante l’uso delle proprie prerogative biologiche e affettive di genitore. Avendo messo al mondo quel bambino, la madre seduttiva lo sente come una mera estensione di sé: lo esalta e lo lusinga ogni volta che fa qualcosa che le è gradito, ma altrettanto spesso lo frustra ogni volta che egli esprime una vitalità e una volontà personali. Lo sottopone a una sorta di love bombing col quale mostra di amarlo svisceratamente. In realtà lo sta circuendo con la seduzione perché lui le sia sempre fedele e con la vergogna e il senso di colpa nel caso faccia o pensi qualcosa che lo allontani da lei.

In breve il figlio diventa un figlio-schiavo d’amore, legato dal vincolo biologico e affettivo a una donna – la madre – che lo tratta come un fantoccio. Spesso da adulto diventa un dipendente affettivo, con tratti insicuri e simbiotici allo stesso tempo. Ma può anche sviluppare reazioni oppositive: molti casi di anoressia, di disturbo d’ansia o di sindrome oppositiva e di comportamenti sociali e sessuali devianti e trasgressivi si spiega come una reazione alla seduzione primaria materna.

Lo stesso, anche se più raramente, può accadere con il padre seduttivo. Rispetto alla madre seduttiva dispone di un potere minore, perché, intrinsecamente, non può esercitare l’alternanza di seduzione biologico-erotica e di abbandono e colpevolizzazione di cui è capace la madre: non può dire “ti ho dato la vita, ora mi appartiene” anche se nelle società più patriarcali il padre ha assunto il ruolo di donatore di vita.

Nondimeno, in ogni società da una certa età in poi – già dalla seconda infanzia – il figlio entra nell’area educativa del padre ed egli può manipolarlo, metterlo contro la madre mostrandogli la direzione che secondo lui dovrebbe prendere, anche contro le reali inclinazioni del figlio. Quando il padre narcisista esercita il suo potere di autorità morale e sociale per estorcere dal figlio elevate prestazioni o per alienarlo dalla madre, il figlio ne risulta scisso e nevrotizzato, con dubbi angosciosi circa la sua personalità e la sua immagine di sé.

L’invidia

Intelligenza artificialeAltro sentimento tipico del narcisista è l’invidia. Poiché la radice del narcisismo è una nascosta e profonda auto-svalutazione, il soggetto narcisista soffre immensamente del valore e della ricchezza umana dell’altro. Spesso si impiglia in estenuanti confronti con gli altri per capire chi stia più in alto o più in basso nella sua gerarchia immaginaria. Poiché vive di immagini, e si idealizza e si esalta grazie ad una immagine, allo stesso tempo si tormenta se l’altro possiede un’immagine più efficace della sua. Vive di confronti saturi di angoscia e di risentimento sociale.

Come genitore può provare invidia per la dolcezza e la purezza d’animo del figlio bambino e per le possibilità evolutive del figlio giovane. Animato, quindi, da sentimenti negativi, può insinuare nell’animo del figlio dubbi atroci sulle sue effettive qualità, che vengono sistematicamente convertire nel contrario. Spesso arriva a svalutare il figlio con lo scopo non solo di ridurlo di nuovo alla condizione di schiavitù infantile, ma anche con l’intento di sottrargli quanto di buono quello ha fatto: amici, studi, competenze, persino i figli. In questo senso, non di rado l’invidia si associa alla capacità seduttiva, con l’effetto che mentre il figlio viene adulato, viene anche spogliato delle sue qualità e delle sue conquiste.

Di conseguenza, il figlio del genitore invidioso non è mai certo di se stesso, ha timore di esprimere i suoi reali sentimenti, non sa distinguere chi lo ama da chi lo denigra e soprattutto, poiché talvolta ha provato emozioni di protesta, avverte dubbi circa la propria effettiva qualità umana. Infine, sviluppa il masochismo morale di cui ho parlato nel libro Volersi male e può allora giungere ad auto-sabotarsi fino all’autolesionismo e all’autodistruzione. Non pochi dei figli che hanno subito l’invidia dei genitori arrivano a farsi sfruttare e maltrattare da sconosciuti, a farsi truffare o contrarre malattie per l’odio invisibile di cui le loro qualità sia intellettuali che fisiche sono state fatte oggetto.     

Un capitolo a parte andrebbe dedicato anche ai nonni e i suoceri narcisisti, i quali svalutano non tanto i nipoti, quanto soprattutto i figli e i generi nelle loro competenze genitoriali, fino ad arrogare a sé la devozione dei nipoti, mei quali si insinua il germe del tradimento.

Il disprezzo

MedeaQuando il genitore narcisista non ha la possibilità di esercitare il comando e allo stesso tempo è troppo narcisista – troppo esaltato e prepotente – per accettare la lunga opera della seduzione, emerge il disprezzo, ossia il rifiuto radicale e annichilente del figlio.

Il disprezzo è uno dei sentimenti più sottili e distruttivi del narcisista.

Il disprezzo si esprime in una svalutazione ossessiva e costante dei caratteri estetici, intellettuali e sociali del partner e in una serie infinita di atti di umiliazione. È tipico, per esempio, dell’uomo narcisista svalutare la compagna sul piano sensuale ed estetico, facendola sentire insignificante, e di conseguenza tradirla in modo seriale e palese. Ho constatato che, alla lunga, soprattutto se ha un carattere masochista oppure, più semplicemente, se è sprovvista di mezzi economici e sociali per rendersi autonoma ed è incastrata nel matrimonio dall’esistenza di uno o più figli, la donna paga questa condizione con una depressione infraclinica pervasiva e con il nascere e l’aggravarsi di patologie organiche, che non di rado la portano a una morte precoce.

Se invece narcisista è la donna, l’uomo viene vessato con infiniti commenti sulla sua incapacità economica e sociale, sulla sua rozzezza e volgarità, e tradito con uomini più ricchi e prestigiosi. Anche in questo caso il marito può sviluppare patologie di ogni sorta e morire in un’atmosfera di inerzia e di tristezza o di depressione clinica acuta.

Nel rapporto coi figli, il genitore sprezzante è estremamente distruttivo. Qualunque cosa il figlio sia e qualunque prova egli abbia portato delle sue qualità sia umane che intellettuali viene svalutato e denigrato. Il figlio sente allora di essere non solo privo di qualità (brutto, stupido, insignificante, indisponente), ma anche di intralcio alla vita stessa del genitore. Allora può sviluppare una protesta indiretta e porre in atto trasgressioni e sviluppare sindromi asociali, oppure può esitare in una sottomissione masochistica che lo porta a vivere relazioni di dipendenza, ad acquisire dipendenze da sostanze, a fallire nella vita e talvolta persino a suicidarsi.

I figli del trauma

scared-girl-beautiful-blond-hair-22467008.jpgI figli vengono duramente colpiti e danneggiati dal genitore narcisista e dallo spettacolo della vittimizzazione del genitore vittima; ma tale è la vergogna che ne provano, che dissociano la memoria profonda e la tengono segregata nell’inconscio.

A livello caratteriale i figli di un genitore narcisista possono svilupparsi in due direzioni diverse. Nella prima e più frequente o sono vittime o si identificano con la vittima e sviluppano a loro volta un masochismo che li rende inclini a ripetere l’esperienza con partner simili al genitore, spesso sadici e borderline. La seconda direzione è altamente patologica e consiste nell’identificarsi con l’aggressore. Lo slittamento da vittima a aggressore è sottile, spesso presuppone una dissociazione e una sorta di “doppia identità”. La vittima comincia a odiare la sua natura vulnerabile (o la vulnerabilità del genitore che ha visto passivizzato) e l’odio fa da carine allo sviluppo della seconda personalità. Esiste una terza direzione, patologica anch’essa. Per reazione, il figlio traumatizzato esprime uno sforzo precoce di indipendenza che fa di lui un anoressico sentimentale o una anoressica alimentare: comunque una persona isolata in una radicale e compulsiva diffidenza che la condanna a condurre un’esistenza promiscua o solitaria.

Talvolta alcuni figli del trauma subiscono effetti a carico dell’identità affettiva e sessuale, che tuttavia non li mettono al sicuro né dall’incontro con partner sfuggenti e altrettanto narcisisti dei loro genitori, né dal rischio di una solitudine del cuore che li costringe in una vita sterile e senza amore.

I figli di genitori narcisisti, divenuti grandi, rivelano gravi traumi, nondimeno sono accessibili alla psicoterapia: perché serbano nella memoria inconscia il trauma dal quale provengono, quindi possiedono di fatto le chiavi per capirlo e risolverlo.

Tuttavia, essendo queste chiavi sepolte nell’inconscio, per dissotterrarle hanno bisogno di una lunga analisi del profondo effettuata con terapeuti esperti, specialisti del campo.

Con questi pazienti, i cui i traumi sono profondi e altrettanto profonde sono le conseguenze strutturali sulla personalità, non hanno effetto le cosiddette “terapie brevi”, che promettono risultati immediati. Lo specialista nel danno da abuso narcisistico a lungo termine sa che i processi di cambiamento più radicali rendono necessario il disseppellimento e la rielaborazione delle immagini interne, con il loro carico di emozioni negative: un processo che avviene solo nel lungo periodo. Egli sa, quindi, che per gestire l’analisi e il cambiamento del paziente traumatizzato, lui, come psicoterapeuta, ha bisogno di una lunga esperienza e di un carattere solido, attrezzato a sopportare il dolore del paziente.

La memoria del trauma è di solito avvolta da un velo di mistificazione e di idealizzazione, che rende il paziente incredulo e poco incline all’analisi profonda. Togliere quel velo significa fare emergere il dolore, la vergogna, l’umiliazione, la rabbia e l’odio sepolti. Ma ancora al di sotto della superficie psichica connotata dal dolore, la rabbia e la vergogna, c’è il nucleo profondo della paura, del sentimento della propria angosciosa inermità e impotenza. Il gioco terapeutico tuttavia non finisce qui: al di sotto ancora di questi strati negativi c’è infatti l’integrazione della personalità, che comporta il “realismo oggettivo”: la consapevolezza compassionevole o distaccata della normale violenza del mondo, più o meno presente in rapporto ai diversi tipi psicologici, i diversi gradi di patologia e i diversi contesti culturali.

Tutti questi passaggi implicano che il terapeuta sia capace di comprensione empatica, contenimento, sottile individuazione e interpretazione degli stati alterni della personalità, resistenza alla tentazione collusiva, cognizione diagnostica della vittima e del suo persecutore, infine percezione delle potenzialità evolutive della persona.  

Il vittimismo rivendicativo

Annie LeibovitzEsiste d’altra parte un rischio inerente all’uso patologico del ricordo del trauma che va segnalato.

In alcuni casi, sempre più frequenti soprattutto in ambito giovanile, il ricordo del trauma può andare incontro a un esito vittimistico rivendicativo. Il soggetto traumatizzato si incista nella memoria traumatica e la usa per non assumersi la responsabilità delle sue emozioni conflittuali (che restano inconsce) e quindi dello sviluppo di una personalità autonoma.

Dietro l’ossessione del ricordo, può nascondersi quella che, nel libro Autoterapia, ho chiamato “ideologia del danno”, una dinamica rivendicativa che assume il danno come misura di ogni evento successivo della vita, compromettendo così ogni possibile prospettiva futura.

Una dinamica di tal genere esita, il più delle volte, nella paralisi esistenziale, rivelando così un sottofondo sadomasochistico. Il figlio danneggiato, reso masochista dal danno subito, usa il suo masochismo in modo sadico, per tiranneggiare colui che un tempo è stato il suo tiranno. Egli si mostra incapace di vivere, si lamenta, evita ogni occasione di lavoro e di socialità, fino a rendersi effettivamente incapace di vivere, danneggiando così egli stesso le sue personali qualità umane e intellettuali e le sue possibilità sociali.

E’ di fondamentale importanza, in questo caso, che lo psicoterapeuta non ceda al fascino seduttivo di una spiegazione semplicistica. Talvolta, per semplificare il lavoro, lo psicoterapeuta finisce per instaurare una collusione col paziente rivendicativo, imputando la responsabilità del sistema di vita patologico a un evento traumatico subito passivamente, alimentando nel paziente il risentimento paralizzante della vittima. Si tratta di un rischio grave.

Dal mio punto di vista, non si esce dal trauma da abuso narcisistico con una reazione emotiva simmetrica, di paura, odio e vendetta; perché per questa via si hanno solo due alternative: o l’identificazione col persecutore o il vittimismo rivendicativo. È quindi importante che il terapeuta non entri in collusione col paziente sulla base di questi sentimenti. È cioè importante che il terapeuta non confermi in modo impulsivo e reattivo la paura, la rabbia e la vendicatività sperimentate dal paziente, ma elabori il trauma tenendo presenti la potenzialità evolutive, non danneggiate, della persona.

Anche in sede di teoria della psicoterapia, una cosa è valutare l’esistenza di traumi e osservarne la tendenza alla ripetizione, allo scopo di liberare le potenzialità del paziente; tutt’altra è fare del trauma una sorta di oggetto sacro di una religione sadomasochistica. La strutturazione di una psicopatologia è sempre di natura dialettica: da un lato gli eventi di vita, dall’altro il modo come il soggetto li interpreta e li gestisce. L’abuso dell’ideologia del trauma taglia fuori dallo spazio dell’analisi la capacità del paziente di sviluppare ampie e profonde competenze emotive ed esistenziali, che sono alla fine il motore principale e risolutivo di ogni guarigione.

Per saperne di più

Ho descritto e analizzato queste drammatiche esistenze e il loro percorso di guarigione in molti libri. Eccoli:

“VOLERSI MALE” (2002),

“L’OMBRA DI NARCISO” (2017)

“RELAZIONI CRUDELI” (2019)

“LA LINGUA PERDUTA DELL’AMORE” (2023).

In quest’ultimo, “La lingua perduta dell’amore”, spiego la genesi storica e antropologica del narcisismo e della asimmetria dominante-dominato che caratterizza gran parte della sessualità e della vita sentimentale moderna.

Ho parlato della dipendenza affettiva nel libro

“L’AMORE IMPOSSIBILE” (2015)

Oltre a lavorare in prima persona, ho formato un gruppo di specialisti che si occupano dell’analisi e della psicoterapia delle sindromi dei figli di genitori narcisisti.