La coppia stabile e la paura dell’estasi
La paura dell’estasi
In gran parte delle tradizioni pre-moderne, di impronta patriarcale, il matrimonio veniva deciso a tavolino, da un accordo fra le famiglie. L’amore spontaneo fra due giovani è documentato fin dall’alba della letteratura, ma non era destinato a trionfare. Una traccia della tradizione patriarcale è presente nel dramma di Shakespeare Romeo e Giulietta, del 1597, che affronta il tema dell’amore spontaneo contrastato dalle famiglie.
Il mondo moderno, almeno dai primi del 900, ha sdoganato il principio della libertà del cuore: la coppia “dovrebbe” costituirsi sulla base del puro innamoramento. In realtà non è così. La persistenza della mentalità del matrimonio combinato si rivela nell’imperativo, presente più o meno in ogni coppia, di tendere all’integrazione sociale. Oggi, si costituisce una coppia per due motivi fondamentali: per innamoramento e per sicurezza. Gran parte dell’umanità, per fattori oggettivi e soggettivi, tende alla sicurezza; essere in due è meglio che stare da soli, poi si acquisiscono e si consolidano parentele, amicizie, ruoli sociali. Quindi anche la coppia innamorata, prima o poi, cede al bisogno di stare alle regole del mondo, quindi di darsi ruoli, affetti e abitudini consolidate. Anche la coppia innamorata, per quanto possa essere dinamica, tende prima o poi a costituire la propria esistenza in una forma stabile, in una istituzione, quindi si “normalizza”. Si tratta di una normale espressione del bisogno di appartenenza/integrazione sociale.
A questo punto la coppia vive stabilmente in una casa, ha un reddito sicuro, frequenta altre coppie e un gruppo di amici, frequenta i parenti dell’uno e dell’altro partner, dà per inteso che si debba vivere in un regime di fedeltà, che si debba fare l’amore (o il sesso) almeno una volta alla settimana, che si fruiranno piacevoli intrattenimenti (cinema, concerti, locali, feste, letture), insomma, si adotteranno comportamenti normotipici.
Lo fa per due motivi. Innanzitutto perché – se è stata una coppia innamorata – vuole far durare nel tempo i frutti del proprio amore. Sicché, a questo scopo, fissa la propria vita in abitudini, ripete le situazioni che hanno già funzionato le prime volte, immobilizza il divenire, quindi inibisce ogni possibile trasformazione, ogni innovazione, ogni nuova avventura esistenziale. Mircea Eliade ha spiegato l’esigenza di creare riti nel contesto della nascita degli Stati e delle religioni: i riti ripetono un tempo mitico (la nascita e la morte del dio, la cena collettiva, la fondazione della patria ecc.) per rinnovare la forza vitale degli inizi; e così creano istituzioni. Lo stesso processo si ripete in ogni organizzazione sociale, quindi anche nella coppia. Dandosi dei riti, la coppia cerca di conservare la potenza dell’origine, trasformando il “fuoco” in un più controllabile “focolare”.
Il secondo motivo per cui la coppia si normalizza, è che il più delle volte vuole fondarsi come famiglia, vuole esistere come elemento sociale che si completa con dei figli e per ciò stesso si radica nel mondo, quindi tiene all’integrazione affettiva e sociale, all’equilibrio emotivo, alla stabilità economica. Si inserisce nella rete della riproduzione sociale. Avere una famiglia significa avere una responsabilità, garantire una continuità, evitare ogni evento unico, occasionale, trasgressivo, creativo. Dandosi dei riti e formando una famiglia la coppia si normalizza.
Nel perseguire questa meta, la coppia dimentica che ciascun essere umano – come singolo o in gruppo – è animato da un bisogno di opposizione e individuazione, complementare al bisogno di appartenenza, che spinge alla perpetua definizione di sé, quindi al cambiamento. I due partner non si rendono conto che conservare i frutti serve a poco se non si cura anche la terra che li ha prodotti, se non la si mantiene fertile. Quindi, per quanto la coppia possa dedicarsi alla propria sicurezza, alle proprietà, alle rispettive carriere, al clan, alla crescita e al buon inserimento sociale proprio e dei figli, può dimenticare il terreno da cui è nata. Essa è nata da un bisogno di cambiamento, di trasformazione delle proprie esistenze, di creazione di un nuovo mondo, di distruzione della schiavitù del quotidiano.
Divenuta una coppia normale, coltiva la propria buona integrazione sociale; quindi in realtà si adopera per coltivare il terreno altrui, il terreno delle norme e delle convenzioni, non quello proprio, unico e prezioso, da opporre al mondo. Al contrario, si rende schiava del mondo; non è più in grado di produrre nuovi significati e nuova libertà.
Che siano stati innamorati o no, i due partner agiscono in tal modo, vogliono la sicurezza di essere un’istituzione, perché intimoriti da un’oscura intuizione. Intuiscono, o meglio: “sanno”, per averlo loro stessi vissuto, o per averne sentito parlare, che l’innamoramento è estasi e che nessuna sicurezza, nessuna serenità, nessuna buona integrazione, nessuna corsa al successo, per quanto piacevoli, possono competere con la potenza e la bellezza dell’estasi. Dunque l’estasi amorosa, proprio perché unica, intensa, inimitabile, perché assoluta, quindi senza alcun possibile parametro di confronto, minaccia tutti i traguardi raggiunti: la sicurezza, la stabilità, l’annullamento dell’ansia.
L’estasi – il desiderio di fusione e annullamento di sé nell’infinito – è tanto dolce quanto pericolosa; è tanto amabile quanto terribile.
Perché la paura?
Ma perché l’estasi è così pericolosa per l’ordine della coppia e della famiglia? Perché se ne ha tanta paura?
L’innamoramento nasce da una condizione pregressa di infelicità. La persona che gli è disponibile giace in uno stato di confusione o di apatia o talvolta anche di depressione. Si è inserito nella vita sociale, ha amicizie o è solo (per lui è la stessa cosa), ha relazioni sessuali; in sostanza ha costruito, come direbbe Winnicott, il suo falso Sé; Jung direbbe che ha costruito una Persona, cioè un’identità sociale, efficiente e tirannica. Piano piano è arrivato a odiare la sua corretta integrazione, ma non lo sa. Quindi è arrivato a odiare lo stato del suo Io, il suo stesso essere nel mondo. A questo punto è pronto per prendere contatto con le sue parti distruttive.
Può allora innamorarsi. L’innamoramento lo mette in una condizione paradossale, perché presuppone e impone una singolare disuguaglianza: l’innamorato adora il suo oggetto d’amore e lo pone al di sopra di se stesso, la di sopra di ogni altro valore. Egli vede l’oggetto della sua passione come migliore e più grande di lui e di ogni altra cosa, e per questo è felice. È felice di negare il proprio Io infelice: impelagato e intrappolato dai valori sociali.
Per uno strano paradosso consentito solo ai mistici e agli innamorati, l’innamorato è felice di riconoscersi inferiore al suo oggetto d’amore; egli è felice di adorarlo e di desiderare di essere alla sua altezza, è felice di aspirare ad un cambiamento di sé e del mondo intero al fine di raggiungere l’ideale d’amore, e comincia a intravedere questo radicale mutamento di stato proprio nella contemplazione, nell’estasi e nella beatitudine amorosa. Per l’innamorato la persona amata è il valore assoluto e, quando può immergersi in lei, ogni altro valore scompare (nella dissoluzione spazio-temporale dell’estasi).
Ed ecco il punto: è proprio questa dissoluzione, questo annientamento dei poteri di persuasione sociali, questa trasvalutazione di tutti valori, ad essere considerata pericolosa, antisociale. Porre un oggetto umano vivo, reale e concreto allo stesso livello di un dio, un dio che annulla ogni convenzione sociale, fa impallidire il mito del denaro, del successo, del prestigio, della fama, del potere, di tutti quei valori che dominano l’orizzonte personale e collettivo.
L’innamoramento è – come la passione mistica e la frenesia creativa – il fuoco originario – il caos totipotente che sta al cuore del nostro cervello – in grado di distruggere ogni valore pregresso (o almeno i valori che limitano il diritto di amare ed essere amati), che ridicolizza le costruzioni sociali, per fondare i valori di un nuovo ordine dei rapporti. L’estasi amorosa diventa così il selettore antropologico dei valori: scarta quelli inutili e quelli dannosi e ne stabilisce di nuovi, di assolutamente autentici. Con la sua capacità di suscitare lo “stato nascente” (come lo chiama Alberoni) delle identità, l’amore partecipa della stessa natura della mistica, dell’arte, del processo psicoanalitico e della passione rivoluzionaria di ripartire da un grado zero dei valori, annullando i vecchi e creandone di nuovi.
Facilmente l’amore di coppia maturo scivola nella solidarietà, che stabilisce la parità dei diritti e la sicurezza per sé, il partner e la famiglia. Ma la negazione della disuguaglianza, il culto della parità dei diritti e dei doveri, la perfetta cooperazione dei ruoli, all’interno della coppia stabilizzata, favorisce, con la sicurezza, la creazione di una “società fredda”, cioè immobile. Per contro, solo la negazione di sé e il rinnovarsi della disuguaglianza – che sono caratteri centrali dell’innamoramento – accendono il fuoco originario: un dinamismo, un desiderio di cambiamento che fa crollare le certezze raggiunte.
L’innamoramento è come un animale che non si può tenere in gabbia: la coppia stabile si può rinnovare solo cambiando tutto ciò che è necessario cambiare (senza rispetto per la sicurezza sociale): lavoro, luoghi, consuetudini, amicizie, socialità, affetti, stili di vita. Se ignorato e deluso, l’innamoramento – l’animale erotico – fugge dalla gabbia e cerca nuovi oggetti d’amore. Allora il cosiddetto “tradimento”, la relazione clandestina o quella libera e passionale rompono lo schema, rilanciano l’anelito alla libertà, il desiderio di infinito, cioè il bisogno continuo dell’essere umano di mutare le proprie forme.
Per questo motivo le convenzioni sociali (e spesso anche i due partner) hanno chiamato l’estasi col nome di passione, trasgressione, tradimento, conferendole significati negativi. Esse hanno colto il senso profondo dell’amore: che è dinamismo e rivoluzione, quindi negazione della sicurezza e della serenità raggiunta. Per loro natura, le convenzioni sociali rifiutano il vero innamoramento, ne hanno paura, e mettono al suo posto non solo la coppia stabile ma anche cento forme di sostituti illusori dell’amore: il sentimentalismo, il romanticismo isterico, l’avventura erotica, la promiscuità, la prostituzione, l’amante convenzionale o professionale.
Le conseguenze della paura
Il più delle volte, questo terribile amore per la sicurezza individuale e familiare uccide sul nascere il desiderio, la richiesta soggettiva, il bisogno personale, che come una domanda senza risposta sono destinati a ripetersi. Allora ci si compra un nuovo cane, una nuova auto o si fa un bambino, ci si distrae con una vacanza, oppure si torna con più ossessività a dedicarsi al lavoro, ad abnegarsi per i figli, per il loro benessere, per il loro futuro. Si perpetua il mito della solidarietà e si approfondisce il senso del dovere.
Altre volte, si avvia una storia parallela, nella quale spesso si confessano cose che non si direbbero mai al partner, col risultato di una divaricazione non solo della vita di coppia ma della stessa vita psichica soggettiva che si scinde e rende impossibile le azioni mirate a un recupero della verità interiore. Il più delle volte queste relazioni parallele coincidono con una modalità erotica o amorosa che potremmo chiamare divaricazione frenata: c’è una crisi nella coppia e la si è “risolta” con un falso equilibro; facendo della relazione parallela con l’amante una vera e propria istituzione: ci si desidera, talvolta si è innamorati, ma l’esperienza viene vissuta nei limiti di un controllo che impedisca di fare danno alla relazione principale. L’equilibrio rasenta la perfezione, ma anche in questo caso, nuovamente, l’eros è imprigionato e umiliato.
Altre volte ancora si hanno rapporti passeggeri o con partner occasionali o con escort e prostitute o si frequenta la pornografia, che internet ha reso universale. E qui l’eros è trasformato in un pazzo vagabondo in preda alle sue ossessioni. L’ordine del sistema dei valori ha sacrificato la potenza del caos primordiale, la cui funzione è tenere vivo il dinamismo dell’evoluzione.
Nel complesso, se ha fatto una scelta conservativa di mera sicurezza, la vita di coppia langue in uno stato di finzione che nasconde l’apatia. Sicché l’apporto creativo dell’eros viene controllato e spento.
Ma questo controllare e spegnere la passione e l’estasi esistenziali, questa negazione dell’eros, non sono mai privi di conseguenze. Quando qualcosa non funziona nella coppia e siamo incerti, dubbiosi o nascondiamo una certa ostilità noi viviamo precisi stati d’animo, che da un lato inducono la produzione nel nostro organismo di alcune sostanze neurochimiche piuttosto che altre, dall’altro ci portano a esprimerci in un modo neutro o freddo, a usare certe parole piuttosto che altre, a sorridere di meno, a svolgere compiti meccanici e evitare il contatto affettivo, a trascurare la gioia sessuale e così via. Spesso si è depressi, altre volte l’irritazione trapela e si diventa aggressivi.
Tutto ciò diviene parte integrante del nostro stile di rapporto e incide tanto su di noi quanto sul nostro partner: incide nel corpo e nell’anima di entrambi. Il partner così trattato vive emozioni di disagio, abbandono e apatia, diventa irritabile o triste, rallenta i suoi movimenti, la pelle si inaridisce e perde colore, scivola in una forma di depressione; qualche volta si ammala e persino muore. Ma lo stesso può accadere a noi: costretti nella gabbia delle convenzioni sviluppiamo un disagio psichico, sviluppiamo malattie psicosomatiche, perdiamo ogni motivazione a vivere. Nessuno stato d’animo, per quanto nascosto, è un evento puramente soggettivo; esso entra nella comunicazione neurochimica, induce per via empatica reazioni neurali, neuroendocrine, immunitarie, nel corpo proprio e del partner, entra nei sogni di entrambi, ci coinvolge sempre.
La porta dell’estasi
Per questo è fondamentale che le emozioni affiorino sempre alla coscienza e siano esperite, rispecchiate, interagite a livello fisico e mentale. Se non lo facciamo, la nostra anima soffre e muore. Inoltre – ed è anche peggio – siamo responsabili della morte dell’anima e talvolta anche del corpo delle persone che diciamo di amare o che comunque dipendono da noi. Spesso, con velato e ipocrita spirito criminale, deleghiamo queste persone che si fidano di noi alla “cura” fredda di psichiatri felici di esercitare un potere mostrandosi come benefattori.
In sintesi, inseguire la stabilità della coppia mettendo al posto dell’innamoramento l’amicizia solidale e creando sicurezza, ruoli sociali, famiglia, con lo scopo segreto di contenere il desiderio, di uccidere l’estasi, avvia un lento e doloroso processo di dissoluzione. Talvolta è uno dei due quello che deve cambiare, perché è lui il principale responsabile di questa organizzazione controllata e ossessiva del desiderio e dell’amore. Ma in realtà appena uno comincia a cambiare, cambia anche l’alto e la coppia ne viene trasformata.
L’essere umano non può fermarsi. È fatto così. La sua natura più profonda è sia sociale che antisociale; è sia normativa che oppositiva. La sua natura è bifronte, è dialettica. Infine, solo il contatto con la tensione rischiosa verso la trasformazione accoglie la scommessa esistenziale della rivelazione di sé a se stessi e dell’evoluzione delle società e della specie.
Bibliografia dell’Autore
N. Ghezzani, La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012.
N. Ghezzani, Le eclissi dell’anima, FrancoAngeli, Milano 2016.
N. Ghezzani, L’ombra di Narciso, Franco Angeli, Milano, 2017.
N. Ghezzani, Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019.
N. Ghezzani, La lingua perduta dell’amore, FrancoAngeli, Milano 2023.