Anoressia sentimentale e controdipendenza
Codice anestetico e disturbi affettivi
Da alcuni decenni la vita sentimentale di chi si predispone a vivere in coppia è cambiata, rispetto ai decenni precedenti, purtroppo in peggio. Più o meno dagli anni ’80 del secolo scorso fino ad oggi, si è diffuso un codice emotivo e valoriale che drammatizza la dipendenza dal legame affettivo e la trasforma, quando va bene, in una sorta di braccio di ferro col partner e, quando va male, in un duello all’ultimo sangue.
Ho descritto in varie occasioni questo codice mentale come “codice anestetico”, cui si è sovrapposto nel tempo un “codice sadico”, che lo ha reso ancora più fobico e aggressivo. Questo codice parte dall’idea che l’esistenza relazionale sia fondamentalmente traumatica e che quindi il cedimento alla relazione implichi – con un certo grado di certezza – l’esporsi alla violenza dell’altro, volontaria o involontaria che sia. Secondo questo codice, la natura umana è basata sulla sopraffazione, per cui o si è falchi o colombe, o predatori o predati. Quindi, anche le persone meglio disposte, quando interpretano il mondo con questi occhi percepiscono intorno a sé nient’altro che un teatro di inganni e sopraffazioni, un teatro di dolore, dal quale occorre proteggersi. In un mondo che appare fondamentalmente ostile, la protezione consiste nello sviluppo di difese fobiche centrate sull’anestesia, cioè su una insensibilità accortamente programmata.
Chi interpreta la vita a questo modo non riesce tuttavia a spegnere l’anelito a una vita “normale” nella quale si abbia accesso all’amore. Spesso questo anelito coincide con una “velleitas”, con un “wishful thinking”, ossia con un enfatico proposito pieno di romanticismo, ma non supportato dal reale desiderio di mettere alla prova le proprie difese. Sicché la vita affettiva diventa un’altalena impazzita, nella quale ora si domina in virtù della propria insensibilità; ora si è dominati allorché il partner è a sua volta sfuggente e induce sentimenti di abbandono. In effetti, l’evento più sfortunato che possa accadere a persone con questa struttura caratteriale è di incontrare un partner speculare, con le stesse caratteristiche.
Per questa via, la personalità può evolvere da un a generica “anoressia sentimentale” (il termine l’ho coniato io una ventina di anni fa), nella quale domina l’evitamento; a una più intensa e drammatica “controdipendenza”, nella quale il legame è attivamente ricercato per poi essere rifiutato in dinamiche sospetto e conflitto; fino alle “collusioni sadomasochiste”, nelle quali domina il sadismo dell’umiliare il partner e ridurlo a una gemente nullità e il masochismo del lasciarsene tormentare per conservare di sé l’immagine e la realtà della vittima.
Psicoterapia e letture consigliate
Se avvia una psicoterapia, un paziente di questo tipo dovrà scoprire le radici fobiche del suo comportamento e porle sotto analisi. La perdita – o la drastica riduzione – di una delle due polarità è sempre segnata da un lutto; peggio, da una vera e propria astinenza, che dovrà essere gestita con molta delicatezza.
Quindi, il paziente dovrà risolversi ad adeguarsi a una delle polarità emotive e valoriali da cui è animato. Potrà quindi vivere con coerenza la sua voglia di indipendenza da qualunque legame, cosa del tutto legittima, che se è cosciente e egosintonica presenta un certo grado di salute. Oppure soffermarsi sui sentimenti rimossi: l’empatia, la tenerezza, l’accettazione dell’altrui e della propria vulnerabilità; quindi sviluppare la difficile arte della reciprocità.
Nulla in psicoterapia è prefissato: l’importante è che la soluzione sia sana, e per esser sana dovrà rispettare i vicoli biologici fondamentali della natura umana.
Ho trattato questo argomento in molti libri. Per chi voglia approfondire, ne ricordo alcuni: Volersi male(2002), La paura di amare (2010), L’ombra di Narciso (2017), Relazioni crudeli (2019) e La lingua perduta dell’amore (2023), che descrive con precisione anche i codici mentali che strutturano l’immaginario affettivo moderno.
La mail
Qui di seguito pubblico una vecchia mail (un po’ modificata) di una ragazza disperata che poi divenne una mia paziente. Ovviamente ho modificato il testo in modo che la persona non sia riconoscibile. È un testo che documenta come già 15 anni lo sviluppo di questa patologia fosse esplicito e drammatico. Colpisce, come sempre, lo stato di confusione in versa la coscienza malata; stato di confusione nel quale l’occhio esperto coglie che trasparenza gli elementi di struttura.
Nella mail è evidente che il primo amore ha coinciso con l’incontro sfortunato con un partner simile, anche lui anoressico sentimentale e controdipendente. Entrambi figli di un genitore narcisista o abbandonico, hanno finito per sviluppare le stesse difese evitanti e quindi relazioni di fusione e di rifiuto alterni che hanno poi segnato il destino futuro della personalità.
Nel testo ho evidenziato le frasi chiave, che mostrano i bisogni emotivi fusivi e e difensivi, i nodi ossessivi e paranoidi, e le loro conseguenze.
Buonasera dottore,
Sono una ragazza di 28 anni che non sa più cosa significhi amare. Ho paura, ne sono terrorizzata, e non so se provo repulsione o invidia per gli esempi di rapporti duraturi che ho intorno nel quotidiano. Mi sono innamorata per la prima volta perdutamente, ciecamente, a 20 anni. È stata la cosa più forte, potente ed emozionante che abbia mai provato. È stata l’unica volta che mi sono sentita così con un uomo, ma ho sempre pensato fosse normale, era il mio primo amore, senza sapere a cosa sarei andata incontro e soprattutto senza sapere che ne avrei sofferto così tanto. All’epoca credo di essermi totalmente aggrappata al mio compagno come conseguenza di tante mancanze: la mancanza della figura paterna, per esempio (mio padre è emigrato quando ero molto piccola, i miei fratelli, mia madre ed io vivevamo in un Paese rurale dei Balcani, nei primi anni novanta, ma anche quando ci siamo ricongiunti lui è stato sempre molto distante, pur vivendo sotto lo stesso tetto).
Il mio compagno aveva fatto lo stesso con me, anche lui aveva avuto una situazione familiare difficile (padre alcolizzato, violento, morto quando lui aveva 8 anni). Insomma eravamo danneggiati, rabbiosi, tristi e volevamo salvarci a vicenda. E ci siamo dati tutto quanto, senza risparmiarci, fidandoci solo l’uno dell’altra.
I primi 9 mesi della nostra relazione li abbiamo vissuti a distanza, lui viveva in Liguria ed io in Lombardia. Quando vederci una volta a settimana era diventato insopportabile per due famelici come noi, abbiamo deciso che avremmo cercato una casa dove vivere insieme. Così lui si è trasferito in Lombardia e dopo qualche difficoltà economica siamo riusciti a realizzare il nostro sogno. La convivenza è stata disastrosa. Non ci sopportavamo più e lui con me era diventato un vero mostro. Mi odiava ma io mi sentivo dipendente da lui e facevo di tutto perché si riavvicinasse ottenendo il risultato opposto. Ho sofferto moltissimo, troppo.
Quando ho accettato la fine della storia ho cercato di andare avanti con buoni risultati. Se prima eravamo soltanto lui ed io e il resto non contava, ora io mi facevo nuovi amici, uscivo, mi divertivo, conoscevo ragazzi e cercavo di riempire quel vuoto affettivo facendo cose mai fatte prima: nulla di più scontato.
Nel frattempo che la mia vita cambiava, avevamo deciso per comodità di continuare a convivere consapevoli che la nostra storia ormai era finita. Dopo qualche mese avevo conosciuto un ragazzo di Roma, più grande di me di 10 anni. Non provavo niente per lui mentre lui aveva perso la testa per me arrivando a dirmi di amarmi dopo pochissimo tempo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, e io ci giocavo, lo prendevo in giro, un giorno ero quello che lui voleva, un altro ero il suo incubo. Era un gioco malato. Ma non riuscivo a provare assolutamente nulla finché ho deciso di chiudere definitivamente.
Questa persona poi si sarebbe ripresentata nella mia vita 5 anni dopo, in un periodo difficile per me, spezzandomi il cuore (l’ho presa come una sorta di vendetta da parte sua).
Dopo aver chiuso con lui un’altra storia ha lasciato il segno. Entrava nella mia vita un ragazzo di due anni più piccolo di me e molto diverso da me. Dopo i due anni di sofferenza e pesantezza, lui era leggero, allegro e mi dava serenità e ecco che mi aggrappavo un’altra volta a qualcosa che in quel momento rappresentava la salvezza. Credo che in 3 anni e mezzo di relazione, sia stata innamorata di lui soltanto il primo anno. Poi ho trascinato il rapporto fino ad alienarmi completamente.
Anche questo rapporto non era sano. Lui mi aveva idealizzata e io tendevo a proteggerlo come si fa con un figlio. Lasciarlo era fuori discussione: avrebbe sofferto troppo, il mio senso di colpa si presentava generando parecchie ansie. Alla fine dei 3 anni sono arrivata apatica, depressa, ero ingrassata esageratamente e ciò nonostante non riuscivo a trovare il coraggio di lasciarlo ed andare avanti. Mi sembrava di abbandonarlo e abbandonandolo lo avrei cambiato per sempre e lui non sarebbe mai più stato il ragazzo allegro che avevo conosciuto. Pensavo più alle sue conseguenze che a me.
Alla fine, quando non mi riconoscevo più ci sono riuscita, gli ho detto quello che avevo dentro e ci siamo lasciati. Lui dice di amarmi ancora e mi cerca anche se io lo ignoro.
Anche questa storia è stata molto molto dolorosa.
Successivamente ho conosciuto altre persone alle quali ho tentato per l’ennesima volta di aggrapparmi ma ho avuto solo delusioni. Ognuno ha i propri drammi, le proprie paure. C’è stato un periodo in cui ero ossessionata dall’idea di stare con qualcuno e cercavo di creare questa situazione, la coppia, volevo che qualcuno morisse d’amore per me, e più non otteneva risultati più mi ossessionavo. Mi sembrava di essere piena di amore da donare ma forse non era vero.
Ho dimenticato di dire che ho sempre lottato anche con disturbi alimentari e dipendenze.
Ora sono 7 mesi che frequento una persona ma l’ho allontanato molte volte. Lui ha sempre insistito. Io anche stavolta facevo paragoni col passato, lo accusavo di non darmi abbastanza e la soluzione migliore mi sembrava allontanarci. Ci siamo riavvicinati pochi giorni fa dopo un mese che non ci sentivamo. Mi sento diversa, più predisposta rispetto a qualche mese fa, con lui sto bene ma rimane il timore di dubitare di nuovo di tutto.
Lui ha 40 anni e si è rimesso in gioco dopo 3 anni dalla fine della sua relazione durata 14 anni con tanto di convivenza e progetti insieme. Lo stimo per questo anche se vedo anche in lui un certo atteggiamento restio al donarsi completamente.
Da parte mia so che se dovesse finire non so se sentirei qualcosa. È tanto tempo che non sento l’amore come una volta soltanto ho sentito e se ci penso mi sale l’angoscia, mi fa paura. In fondo una relazione come questa che sto vivendo sarebbe l’ideale, ma il paradosso è che non mi basta. Insomma voglio l’amore intenso, lo stesso che mi spaventa? Che voglio? Io non lo so più. A volte ho paura di impazzire.
So solo che ho creato un meccanismo di difesa per non soffrire ed ora questo stesso meccanismo mi fa provare sentimenti tiepidi verso gli uomini e sta diventando la mia implacabile prigione.
Vorrei un consiglio da parte Sua dottore, cosa devo fare? A chi devo rivolgermi? Potremmo fare una psicoterapia a distanza? Ho bisogno di essere aiutata.
Grazie,
V.
La mia risposta
Cara V.
ho letto la sua mail, molto sofferta e sincera.
Il suo problema può essere descritto sia come “anoressia sentimentale” sia come “controdipendenza”. Essere bambini sensibili, con bisogni affettivi molto intensi in un ambiente familiare freddo è una miscela pericolosa. Aver avuto un padre sfuggente, poco espansivo, che non ha mai dimostrato amore aperto, esplicito, nei suoi confronti, l’ha portata a disperare della vita e quindi a diffidare dei suoi stessi bisogni di amore, che sono sempre stati molto intensi.
Per una bambina altamente sensibile, non disporre di un genitore in grado di rispecchiare l’empatia e il bisogno di relazione affettiva genera spesso problemi come quello che lei descrive. Fame d’amore insaziabile, ma anche paura e risentimento.
Una volta cresciuta, la sua prima relazione sentimentale, che ha coinciso col suo primo amore, le ha provocato un trauma ulteriore. Non so cosa sia accaduto fra voi intimamente. È possibile che lei abbia insistito per avere conferme. Ma da quando lui ha cominciato a rifiutarla e trattarla male, lei si è sentita debole e vulnerabile, come lo era già stata con suo padre; quindi si è chiusa all’amore e ha sviluppato una forma di difesa basata sulla rabbia, il risentimento, e la fantasia di ritorsione. Il conflitto è stato inevitabile e la dinamica della fusione incantata e dell’attacco al legame si è strutturata nella sua personalità.
Ancora oggi, che è una donna adulta, ha paura di essere debole e passiva di fronte all’amore, quindi lo evita. Ma poi si sente in colpa di reagire sempre nello stesso modo ed è stanca di questa strategia. Vorrebbe salvare dall’inaridimento la sua vitalità originaria e il suo normale desiderio di amare. E questa è una novità importante.
La aiuterò volentieri.
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Dr. Nicola Ghezzani